Immergendosi nel mare di Goa

Breathe underwater
You have to come up for air

Avevo la canzone dei Placebo in testa mentre ci dirigevamo col battello verso il punto d’immersione vicino ad un isola a poca distanza da Dona Paula, a Goa. Era la mia prima volta in mare aperto e sanciva il battesimo da sub. Aju, il mio istruttore, mi stava portando nei pressi di un peschereccio affondato molti anni fa a dodici metri di profondità. Ero tranquillo. Avevo fatto le esercitazioni in piscina e avevo vinto la paura di respirare sott’acqua.

E’ bastato poco per immergersi in piscina. Due anni prima avevo provato ad immergermi a Hurgada, in Egitto, ma era stato un clamoroso insuccesso. Ero stato colto dal panico una volta in acqua con tutto l’equipaggiamento. Non avevo mai provato nemmeno a fare un po’ di snorkeling. Appena ebbi messo la testa sott’acqua la mia respirazione andò fuori controllo e non potei più riacquistare la necessaria calma per scendere sott’acqua.

All’inizio, in piscina con Aju, avevo avuto grosse difficoltà già con la maschera e il tubo per respirare a pelo d’acqua. Per poco annegavo a pelo d’acqua. Ero agitatissimo quel giorno. Mi ricordavo l’Egitto, ma ero allo stesso modo deciso a vincere la mia paura e superare quel limite psicologico che m’aveva bloccato. Avevo già pagato per non tornare indietro, e soprattutto ero convinto di imparare a respirare sott’acqua.

Presi le cose con calma. Dissi a Aju che avevo bisogno di trovare il mio ritmo di apprendimento, di solito lento. Lui lasciò fare. Era inutile forzare, mi conosco, io sono per i piccoli passi quando devo imparare qualcosa di nuovo che richiede tecnica e che mette, teoricamente, a rischio la mia incolumità.

Piano piano, senza fretta, imparai a controllare le mie reazioni sott’acqua seppur in un ambiente sicuro come una piscina. Appena superata la paura eseguii gli esercizi richiesti in scioltezza. Togliere la maschera, tossire, pulire la maschera e il regolatore, togliere la giacca con la bombola e rimetterla, salire senza respirare, e cosa si prova quando l’aria finisce. Aju mi disse che dopo i primi cinque minuti pensava non avrei più rimesso piede in acqua, invece finimmo tutti gli esercizi in anticipo. Fossi stato un cane mi avrebbe dato uno zuccherino.

L’acqua nel punto prescelto per il primo tuffo era torbida. C’era un altro gruppo di sub in loco che si stava spostando altrove. Con il nostro battello di 5 metri senza cabina col motore fuoribordo a poppa comandato a meraviglia da un giovane indiano, lasciammo il peschereccio in fondo al mare da solo e ci dirigemmo verso una parte dell’isola che Aju non conosceva e voleva esplorala. Con noi c’era pure Irwin che stava facendo la pratica per diventare istruttore. Fui fortunato, non solo perché loro due erano persone fantastiche, ma anche perché ero l’unico cliente.

Raggiungemmo il nuovo punto e mi prepari per la mia prima discesa. Esegui tutti i controlli necessari, mi sedetti sul bordo dell’imbarcazione, mano sulla maschera e sul regolatore, preghiera silenziosa nel mio cuore e mi lasciai cadere all’indietro.

Entrai in acqua con un rumoroso SPLASH e fui stupidamente sorpreso che galleggiavo. Non era che non credevo al mio istruttore, è che… penso fosse la paura della prima volta. La prima volta in bicicletta e la paura di cadere, in macchina e la paura di non riuscire a fermarsi alla curva, a fare l’amore e la paura di fare una figura ignominiosa. Superata quella, tutto va sempre bene, beh, quasi sempre.

Iniziammo a scendere e dopo un metro già sentivo la pressione che mi schiacciava le orecchie. Dovetti rallentare e scendere lentamente. Lentamente fu la parola d’ordine del mio corso sub. Ogni metro risalivo di mezzo. Impiegai un bel po’ prima di toccare il fondo a dodici metri. La visibilità era di una decina di metri. Non ottima, ma sufficiente. Feci impeccabilmente tutti gli esercizi e potei rilassarmi e guardare ciò che mi circondava.

Respiravo sott’acqua ed ero in mezzo ad un nuovo mondo pulsante di vita e dalle forme sconosciute. Ero estasiato. Senza peso non facevo fatica a muovermi e mi sentivo rilassato. C’erano pesci dei quali non riuscivo mai ad azzeccare il nome giusto quando poi in superficie ci scambiammo i commenti sull’immersione. Poveri pesciolini che scappavano spaventati da tre mostri che si muovevano goffamente. Alcuni però si avvicinavano incuriositi per poi scappare via tra gli anfratti delle rocce. Vidi parecchi granchi. Decidemmo poi di battezzare il luogo “Crabs ridge”. Chissà quanti nomi ha quell’angolo di infinito.

Iriwin trovò un paio di occhiali Dolce & Gabbana. Sott’acqua! Erano in buon stato, perciò dovevano essere stati persi da poco da qualche ricco turista, forse russo o inglese come la maggior parte dei turisti che frequentano Goa. Scattammo delle foto subacquee indossando gli occhiali, come dei perfetti idioti.

Pulivo la mia maschera frequentemente espirando dal naso e sollevandola leggermente in modo che l’aria rimanesse bloccata sotto il vetro ed espellesse l’acqua che s’era infiltrata. Appena raggiunta la superficie Aju mi fece notare che avevo un po’ di sangue sul volto. In realtà era MOLTO sangue che avevo perso dal naso durante tutto il tempo dell’immersione. Non m’ero accorto che non pulivo la maschera dall’acqua infiltrata là sotto, ma dal mio sangue! Avrei dovuto preoccuparmi, invece rimasi tranquillo. Non sentivo nessun dolore ed era ovvio che la pressione aveva liberato i canali respiratori nasali da impurità. Succedeva spesso alla prima immersione. Almeno questo fu quello che Aju mi disse. Decisi di credergli.

Dopo un paio d’ore scendemmo la seconda volta. Incontrai sempre la stessa difficoltà nel bilanciare la pressione nelle orecchie, ma stavolta persi solo poco sangue dal naso. La seconda volta fu meglio della prima, come un po’ mi succede in tutte le esperienze di vita. La visibilità era migliore e i pesci erano meno introversi e timidi. Ero inebriato. Fluttuavo senza peso, volavo nell’acqua. Non volevo smettere.

Appena risaliti volevo già scendere ancora. Calma, con calma. Avevo ancora un giorno, quello successivo, per finire il mio corso.

Aju era un ragazzo simpatico che mi mise subito a mio agio. Ottimo insegnante. Nel suo log book conta più di mille immersioni. Era da tra anni che aveva la sua scuola, e da molti di più che aveva ottenuto la licenza da istruttore. Non era laureato, ma aveva studiato ingegneria meccanica per conto suo a distanza per poter essere assunto come ingegnere in una petroliera e viaggiare per il mondo. Dopo tre anni lontano da casa e toccando terra raramente, decise che era ora di passare il suo tempo con la sua futura moglie. Non me la sentii di dargli torto… Ci raccontò aneddoti della sua esperienza e quello che mi impressionò di più fu quando si trovarono nel mezzo di una tempesta dove le tende della sua cabina si aprivano e chiudevano a causa dell’inclinazione che la nave subiva. Le onde dovevano essere enormi per poter scuotere così una nave che pesca metri e metri. Alla luce del giorno dopo trovarono i parapetti in acciaio della prua attorcigliati come fossero spaghetti. Il mare che potenza.
Irwin invece era un ingegnere programmatore di Madras. Dopo anni di lavoro in azienda e aver fatto un po’ di soldi decise di lasciare tutto, fare dei lavoretti come free lance e dedicarsi alla sua vera passione: le immersioni. Era anche lui un mio fratello che aveva lasciato la sicurezza del posto di lavoro e della routine quotidiana, solo che io viaggiavo sulla terra e lui sotto i mari.

Il secondo giorno fu meno eccitante del primo. La visibilità era pessima, praticamente due o tre metri. Stavamo vicini per non perderci e mi sembrò perfetto l’esercizio di orientamento che Aju mi costrinse a fare. In quelle condizioni, l’orientamento era necessario in ogni caso. Purtroppo pochi pesci quel giorno, ma non ebbi problemi con la pressione e nemmeno con i flutti di sangue.

A fine giornata in ufficio ricevetti ufficialmente la licenza per immergermi fino a 18 metri in mare aperto. Non vedevo l’ora di tuffarmi ancora. Ma non c’era tempo. Avevo consumato le mie due settimane di dolce far niente a Goa, tra le spiaggie di Palolem e Arjuna mangiando pesce fresco tutti i giorni, prendo il sole tra le palme e bevendo birra fresca, a Panjm e a old Goa visitando i resti della gloria portoghese, ed ero andato a trovare i ragazzi di www.childrenwalktall.com vicino Mapsa portandogli un piccolo contributo. Dovevo continuare verso sud. La mia meta era chiara e fissa nella mia mente: Kanniyakumari da zio Giusto.

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