Giorno 2

Monjo-Namche Bazar

Per arrivare a Namche Bazar si deve scalare un ripido dislivello di circa 400 metri. Lungo la strada c’è la prima vista del bestione, il Monte Everest, o Sargamata in nepalese. E’ vero, si vede veramente il monte. Incontro altri turisti che stanno scendendo e che sono entusiasti e sorridenti della loro impresa. Mi dicono che a Kala Pattar, a 5540 metri e che è il punto panoramico più frequentato sopra al campo base dell’Everest, c’era brutto tempo e che probabilmente avevo visto l’Everest meglio di parecchie altre persone che erano arrivate fin lassù così vicine al bestione.

Che faccio? Torno indietro? L’Everest l’ho visto e la foto l’ho scattata. Ma scherziamo??? Devo superare i 5000 metri almeno una volta nella mia vita. Che vuoi che sia? Si tratta di andare su, su, su lungo un sentiero. Almeno così spero…

E allora avanti! Continuiamo la nostra salita evitando gruppi di Jampa carichi di ogni prodotto e materiale, supero muletti umani carichi fino all’inverosimile che trasportano pacchi enormi e sacchi dall’aspetto pesantissimo. Alcuni portano sulle loro spalle tubi in metallo lunghi almeno 5 metri, motori diesel e componenti per macchinari. Stimo il peso di alcuni di questi in oltre 40 chili. Non saprò mai quanto pesano, ma la mia ammirazione per queste persone è immensa.

Sull’Himalaya non ci sono strade. Gli unici mezzi di trasporto sono gli uomini e le loro gambe e gli animali da soma, oltre agli elicotteri per i ricchi turisti. E’ così da millenni e sarà così ancora a lungo. Mi piace pensare “per sempre” e dipingo nella mia mente un’immagine futuristica di un Nepal dal trasporto antico che vive accanto a navicelle spaziali.

Arriviamo a Namche dopo un paio di controlli da parte delle forze dell’ordine. Fino a due anni fa la valle era divisa in due, le forze governative da una parte e i rivoluzionari Maoisti dall’altra. Ora tutto è tranquillo, ma i controlli ci sono sempre.

Saluto il mio compagno di viaggio di due giorni. Mi accomodo in una stanza al secondo e ultimo piano sotto il tetto e piena di sole. Faccio un pisolino e mi rilasso. Finisco di legger Lord Jim e scendo per cena a mangiare un ottimo Dal Bhat, il piatto tipico nepalese a base di riso, zuppa di lenticchie o fagioli, e varie verdure aromatizzate al curry e un po’ piccanti. I nepalesi lo mangiano due volte al giorno e chiedono sempre il bis. Lo faccio anch’io, è incluso nel prezzo.

Sono strapieno e soddisfatto. Oggi è il primo giorno dopo una settimana che mangio a livelli pantagruelici.

La lodge si riempie di viaggiatori. Oggi principalmente è gente che sale. Per trovare gente che scende bisogna aspettare che prima si vada su. Non è ancora stagione.

Chiacchiero a lungo con una giapponese. E’ la seconda volta che viene in Nepal, e dopo il suo primo viaggio ha deciso di lavorare con un’agenzia di Kathmandu aprendo una sorta di filiale a Tokyo per organizzare escursioni per le migliaia di turisti giapponesi che ogni hanno si riversano in Nepal. Per ora lavora da casa e si trova in Nepal in viaggio d’affari per girare l’intero Paese prima di poter vedere i pacchetti viaggio a casa. Ottima idea.

Mi sto facendo una cultura dei vari percorsi e i villaggi che attraversano. Tengboche, Dingboche, Lobuche, Periche, Pangboche. Tutti finiscono in –che (pronunciato ce) lungo la strada per il campo base sotto il bestione. Poi c’è la strada per Gokyo e ci sono i nomi innocenti che nascondono pericoli per me, alpinista impreparato, sono sicuramente insormontabili, il Cho-la pass (pronunciato ciola pass) e il meno frequentato Renjo pass (rengio pass).

Vado a dormire cercando di allineare i villaggi lungo il percorso e sperando che non mi venga mal di testa contandoli, che poi non so se è per causa loro o per l’altitudine!