Giorno 12 Machermo - Portse - Portse Tenga - Mong

E’ una bella giornata di sole quella che ci sveglia alla mattina di buon ora per partire. Io e Franta andremo a Pangboche, mentre gli altri si dirigeranno verso Namche Bazar per poi continuare verso Lukla e da lì a Kathmandu. Sarà un giorno lungo e duro per tutti noi.

Proseguiamo insieme fino a Portse Tenga dove pranzeremo e poi ci divideremo ognuno seguendo il proprio domani. Il nostro è quello di salire quattro volte oltre i 5000, loro dovranno sedersi in ufficio.

Ripercorriamo al contrario il sentiero che ci ha portato qui qualche giorno fa. Procediamo velocemente perché in discesa e senza neve ne’ ghiaccio. L’ultimo pezzo però, è all’ombra di alberi, segno che siamo scesi a un’altitudine sotto 4000. Gli alberi nascondono l’insidia del terreno ghiacciato. Franta scivola davanti a me. Sento un tonfo e poi vedo un bastoncino da trekking scivolare lentamente verso valle. Nel male ci sono tre cose fortunate. Prima, Franta non si è fatto nulla, seconda a scivolare a valle è il bastoncino e non Franta, terza il bastoncino si ferma a una decina di metri scalabili. Lo recuperiamo e proseguiamo. Siamo in ritardo, ma raggiungiamo Portse Tenga per pranzo.

E’ l’ultimo pasto insieme ai nostri amici. E’ un addio e oramai sono un esperto in addii. Bisogna tenerli brevi. Ci si saluta, si dicono le solite cose banali perché non si ha tempo di dire altre cose e perché ci siamo già detto tutto prima. Un abbraccio finale e una stretta di mano ai due portatori che andranno con Ania, Jindra e Marcela. Con noi resta Kul. Ci siamo trovati bene con Kul. Parla un po’ di inglese e ci aiuta quando serve. E’ un ragazzo di vent’anni che studia e durante le pause scolastiche guadagna qualche soldo andando su e giù per la regione di Kumbhu dove si trova l’Everest e sull’Annapurna. Viene da un villaggio montano a un giorno di viaggio da Kathmandu tra autobus e cammino. E’ stato al campo base dell’Everest cinque volte e conosce bene il percorso. Noi con lui siamo gentili e in aggiunta non gli diamo troppo peso da portare. Anche noi vogliamo fare la nostra parte.

Dopo il saluto veloce e la promessa di festeggiare tra due anni, se ci ricorderemo, giriamo verso Portse superando il fiume rabbioso e inerpicandoci fino a circa 3800 metri. E’ una salita impegnativa e comincia a fare caldo con il sole che batte sulle nostre teste. Saliamo in maniche corte oltrepassando uno scomodo tratto fangoso. Arriviamo a Portse e sopra il villaggio, a circa 4000 metri comincia il sentiero per Pangboche.

Portse è un enorme terrazzamento che si trova qualche centinaio di metri sopra a due fiumi che si incorciano, uno proveniente dal campo base e l’altro da Gokyo. La valle è spettacolare e a sinistra, sul lato opposto al nostro ritrovo la mia amata Ama Dablam. Sopra di noi ci sono altri 5000 metri che ci guardano immobili.

Dall’inizio del sentiero diamo osserviamo ghiacciati ciò che si trova davanti ai nostri occhi. Il percorso è un continuo sali e scendi lungo il lato della montagna e sotto c’è uno strapiombo ripidissimo che scende fino a 3200 metri, cioè un vuoto di circa 800 metri. Qualcuno lassù mi ha donato delle qualità, ma non ha certo abbondato contro le vertigini.

Facciamo i primi venti metri colpiti dal vento e scendendo degli scalini di pietra smussati che scricchiolavano sotto i nostri passi. Eravamo su mezzo metro di spazio e ci fermiamo ansimanti in una nicchia. Dal lato opposto proveniva un giovane tedesco che ci dice per rincuorarci:
“Poi peggiora. E’ più o meno così per due ore e mezza.” Detto questo se ne va silenziosamente e aggrappandosi alla parete.

Franta è immobilizzato e accucciato nella nicchia. Io guardo sotto e mi viene un po’ di tremarella pensando al lungo cammino. Soffriamo di vertigini tutti e due, lui ancora più di me. E’ rigido e paralizzato. Kul ci mostra come fare e corre avanti. Chiedo a Franta se pensa di poter continuare. Mi dice di sì, ma non muove un muscolo. Gli faccio notare dov’è in questo momento e che non è in condizioni di continuare. Sinceramente neanche a me piace l’idea. Kul e altri escursionisti possono pure correre su questo stretto corridoio, ma noi non siamo esperti e semplicemente siamo impauriti e bloccati, cosa che rende ancora più facile mettere il piede nel posto sbagliato.

Convinco Franta di tornare sui nostri passi e cercare la via per Tengboche. Torniamo indietro con la coda tra le gambe, ma vivi. E’ un duro colpo al nostro morale e al nostro piano. Forse è tutto compromesso. Cerchiamo la via diretta per Tengboche un po’ più in basso. Kul ce lo sconsiglia, dice che è peggio di quella appena abbandonata. Vogliamo vederla lo stesso. Kul aveva, ovviamente ragione. Anche per lui non sarebbe così semplice attraversarla. Con la coda tra le gambe e umiliati dalla montagna torniamo indietro. L’unica cosa da fare e cercare la via più lunga perdendo un giorno che non abbiamo.

Scendiamo a Portse Tenga dove eravamo tre prima rimanendo a lungo a riflette su come attraversare il tratto fangoso che nella fase di discesa è ancora più infame. Franta è già scivolato una volta e abbiamo ancora le gambe che tremano per i due sentieri sul vuoto. Arrivati a Portse Tenga tentiamo di arrivare almeno il più lontano possibile. Scaliamo verso Mong a 3975 metri e lì alloggiamo in una lodge gratuitamente. Oggi siamo scesi di mille metri e saliti di seicento cinquanta e camminato per chilometri. Siamo stanchi e sconfitti. Il nervosismo che ci accompagnato lungo l’ultima salita ci fa bisticciare per un nonnulla. Poi però rientriamo nei ranghi. Siamo arrabbiati con noi stessi non l’uno con l’altro.

Franta continua a dire che dovevamo attraversare quel tratto. Non riesce a digerirlo. Per me è già acqua passata. E’ stata la scelta giusta. Abbiamo dei limiti e dobbiamo sfidarli. Ma non si può vincere sempre. A volte non si può far altro che riconoscere e accettare la sconfitta solo dopo aver dato tutto. Cercare un’altra via senza farsi abbattere, è per me una vittoria. Sfidare noi stessi e magari metter male un piede e scivolare per 800 metri non mi sembra una cosa ragionevole. Oggi, pensandoci bene, non devo sentirmi umiliato, ma orgoglioso di aver fatto una scelta appropriata in un momento di difficoltà.

A fine serata Franta mi ringrazia per averlo convinto a tornare indietro. Altri sicuramente sarebbero passati senza problemi. Non è una cosa impossibile da fare. Giornalmente passano decine di persone per quella via. Ma per noi, era un’impresa sovraumana. Siamo fatto così, non possiamo farci nulla. Un paio di cose su me stesso me le sta insegnando l’Himalaya e gliene sono grato.

Ho imparato ha riconoscere i miei limiti, a guardarli in faccia e a giudicare se posso oltrepassarli e farlo o accettarli e aggirarli. Ho riconosciuto i limiti o le difficoltà dei miei compagni e li ho tirati verso la giusta strada facendola insieme. Ho capito che un sorriso a volte può aiutare più di mille parole di conforto. Ho capito che non siamo noi a dominare la natura, ma è la natura che, a volte, si lascia conquistare. Ho capito che la felicità è vera se si può condividere e che ci sono momenti in cui bisogna stare da soli per capire se stessi. Grazie Altissimo.

Vado a letto e mi accorgo che invece di essere demoralizzato sono ancora più caricato. Domani e nei prossimi giorni dovremmo recuperare il giorno perso. Ce la faremo.